STEP#21

Nell’epoca del dominio tecnico del mondo viene messa fuori uso la pretesa di fondare la moralità dell’agire sulla bontà dell’intenzione.
L’etica fondata sulla pura intenzionalità è minacciata dalle conseguenze dell’agire tecnico che non ci dà la libertà di affidarci alla bontà delle nostre intenzioni ma ci richiede, per valutare la bontà di un’azione, uno sforzo costante di previsione degli effetti del nostro agire tecnico.

D’altra parte anche l’etica della responsabilità, che si fonda sulla previsione delle conseguenze scaturite da una azione, è messa in causa dalla potenza degli effetti che la tecnica contemporanea è in grado di sprigionare e che superano di gran lunga le nostre capacità di immaginazione/computazionali.
Laddove la previsione voglia avere una forza probante, deve ricorrere alla scienza e, dunque, deve fare i conti con gli effetti tecnici, spesso imprevedibili, dello stesso procedere degli esperimenti a scopo revisionale (come il caso degli esperimenti nucleari o quello delle sperimentazioni dei farmaci) in un gioco inquietante di mise en abyme (o infinita ripetizione).


Tradizionalmente, la diffidenza verso la tecnica scaturisce dall’identificazione di essa con un artificio non naturale, un supplemento della natura nel senso duplice attribuito alla parola “supplemento”: la tecnica è supplemento perché aggiunge qualcosa alla natura, la rafforza, ma è tale anche perché si pone al posto della natura, la supplisce. Considerata la natura come bene, il suo supplemento, in un certo senso, appare demoniaco e perciò non affidabile.